Cronaca semiseria di un Ufficialedi Complemento ( di Salvatore Franco Piras )

54° Corso AUC Artiglieria Semovente (gen 1969 – mag 1970)

 

Premessa

Sono fiero ed onorato di appartenere alla grande famiglia degli Ufficiali di Complemento.

La partenza

 

Appena compiuti 18 anni sono stato convocato all’Ospedale Militare di Cagliari per accertare l’idoneità fisica al servizio di leva.

Risultato idoneo ho cercato di trovare una scappatoia per evitarlo.

Mi sono perciò rivolto ad un parente stretto, militare di carriera, per scovare  un modo per essere esonerato.

La richiesta ha ricevuto un rifiuto netto, ma, in alternativa, mi è stato offerto un aiuto nel caso avessi deciso di fare il servizio di leva da Ufficiale.

Se proprio “dovevo”, allora decisi di approfittare dell’offerta, con la convinzione di fare il mio dovere in maniera più comoda e, soprattutto,  retribuita.

Forte quindi dell’appoggio di un militare con i giusti agganci in alto loco, ho fatto domanda per la Scuola Ufficiali di Complemento.

Sono stato richiamato a Roma per una visita medica e per le selezioni attitudinali.

Nonostante fossi risultato idoneo fisicamente avevo ancora qualche dubbio di poter superare le selezioni; sapevo che la quasi totalità dei concorrenti era raccomandata e che per i 1500 posti disponibili erano state presentate oltre 15000 domande.

Tuttavia nei test mi sono trovato avvantaggiato dal fatto che la maggior parte erano di tipo logico e matematico, campo in cui eccellevo negli studi.

Superati, quindi, con una certa facilità, sono stato accettato ai corsi per Ufficiali di Complemento.

Alla fine di dicembre del 1968 mi è stata consegnata dai Carabinieri la cartolina di richiamo con i documenti di viaggio e la destinazione: la Scuola di Artiglieria Semovente di Bracciano.

 

Il corso AUC

Il 7 gennaio 1969 sono partito con una certa euforia da Sassari per raggiungere Bracciano, sede del reparto a cui ero stato assegnato.

L’indomani, dopo un viaggio poco confortevole durato circa 16-17 ore, sono arrivato a destinazione intorno alle 11 del mattino.

Uscendo dalla stazione ferroviaria, persa tutta l’esaltazione  della partenza, ho preso consapevolezza di quello che mi stava accadendo: sarei stato parecchi mesi lontano da casa e dai miei cari, in un ambiente che, al primo impatto, mi è parso ostile e inospitale.

Non ho avuto molto tempo per commiserarmi perché un Caporalmaggiore mi si è subito avvicinato e mi ha domandato: «è qui per il corso Ufficiali?»

Alla risposta affermativa mi hanno invitato a salire su una AR (non ricordo se 54 o 59)  e dopo un tragitto di circa 2 chilometri si sono aperte per me le porte della Caserma Romano.

All’ingresso il capoposto mi ha indicato il percorso per raggiungere le palazzine della 1° Batteria alla quale ero stato assegnato.

Nella bacheca di ciascuno dei due capannoni adibiti agli alloggi della 1° Batteria era affisso un elenco degli allievi che dovevano occuparle.

Il mio nome era in quello della seconda palazzina.

All’ingresso un sergente istruttore mi ha invitato ad entrare e a scegliere il mio posto.

La camerata era arredata molto spartanamente.

Lungo le pareti erano sistemate le rastrelliere per i fucili ed i letti a castello, disposti su due file, erano intervallati dagli armadietti personali.

Ho scelto la prima branda a destra in alto entrando dall’ingresso principale.

Quella sotto la mia era occupata da Franco Taddei di Varese, persona con la quale ho condiviso il primo traumatico impatto con la nuova realtà.

Dopo aver sistemato i bagagli mi hanno mandato all’ufficio vestiario.

Un maresciallo mi ha consegnato l’equipaggiamento previsto: due camicie, due divise, due cappotti, una mimetica, un cinturone, un paio di scarpe d’ordinanza, due o tre paia di calze, un paio di guanti di lana, un basco nero, un paio di anfibi, scarpette ginniche, biancheria intima, zainetto tattico, etc.

Per le divise ed i cappotti, di taglia approssimativa, ho dovuto ricorrere in seguito ad un sarto militare per poterli indossare.  

Il giorno successivo all’arrivo, ancora in borghese, ci hanno fatto allineare nel piazzale; il Comandante Capitano Marcozzi, con al seguito i Sottotenenti Istruttori Capozza,  Porcella ed alcuni sottufficiali dei quali non ricordo il nome, ha fatto un discorso di “benvenuto” preparandoci sommariamente  a quello che avremo dovuto “subire” e “sopportare” nei mesi successivi.

I primi quindici – venti giorni sono stati dedicati principalmente all’Addestramento Formale e ad istruirci sulle principali regole di comportamento.

In particolare: sveglia, colazione, cubo, adunata, trasferimento alle aule, pranzo, libera uscita, servizi in camerata, cena, ritirata e silenzio.

Alla sveglia bisognava fare tutto velocemente per evitare di dover saltare o ritardare quelle che, a mio avviso, erano le fasi più importanti di inizio giornata: la colazione e l’adunata.

Rapidamente, e possibilmente rispettando una certa cronologia, bisognava fare la pulizia personale, vestirsi sommariamente, andare in mensa per la colazione (i primi arrivati evitavano una lunga fila), rientrare in camerata e fare il cubo, completare l’abbigliamento e presentarsi all’adunata.

Sembrerebbe tutto molto semplice se non fosse che, in una camerata dove si muovono contemporaneamente più di cinquanta persone, gli spostamenti non sono così rapidi e fluidi come vorremmo.

Credo che i più “imbranati”, non potendo mancare all’adunata, salvo essere passibili di gravi ripercussioni, abbiano più volte saltato la colazione o siano stati puniti per non  aver ricomposto il cubo secondo le regole.

Dopo l’adunata avevano inizio le giornate tipo dell’allievo che comprendevano:

  • Addestramento formale ed esercizio del comando (soprattutto i primi 30-40 gg).
  • Reazione fisica, percorso di guerra e lanci dalla torre di ardimento (quando in programma).
  • Lezioni in aula di:
    • Tiro
    • Ordinamento e impiego
    • Topografia
    • Materiali e armi
    • Trasmissioni
    • Regolamenti
    • Addestramento formale
    • LCB (Lavori sul Campo di Battaglia)
    • NBC (Guerra Nucleare Biologica Chimica)

 

Le lezioni avevano inizio alle 08.00 subito dopo l’Alza Bandiera, venivano sospese intorno alle 12.30 per il pranzo, riprendevano alle 14.00 e si concludevano alle 16.30.

Per ogni materia in programma la durata di ciascuna lezione era di circa cinquanta minuti.

  • Servizi:
    • Caporale di giornata con compiti di controllo delle pulizie e delle presenze in camerata
    • Piantone col compito di fare le pulizie alle camerate e ai bagni

 

  • Esercitazioni con le armi:
    • Tiri al poligono con la Winchester e la Beretta cal. 9 corto
    • Tiri al poligono di Santa Severa e Santa Marinella col FAL (Fucile automatico leggero), l’MG 42/59 cal. 7,62 e con la Browning cal. 20 (Mitragliatrice in dotazione ai semoventi ed al VTC M113)
    • Lancio Bombe a mano SRCM nel poligono di Castel Giuliano
    • Esercitazioni a fuoco con i semoventi nel poligono di Monte Romano

Non ricordo esattamente l’ordine cronologico di tutte queste attività, ma so per certo che, alla conclusione del corso, la maggior parte di noi, salvo poche eccezioni, ha perso la patina di bamboccione ed è diventato più forte e determinato.

Dopo circa 40 giorni abbiamo fatto il giuramento; da quel momento a tutte le attività quotidiane si è aggiunto il servizio di guardia.

 

La guardia

Alla Caserma Romano il servizio di guardia di un allievo aveva la durata di 24 h, iniziava alle 17.00 e consisteva nel fare turni di due ore intervallati da 4 ore di riposo.

Nelle ore diurne un allievo a turno doveva stare impalato con la carabina Winchester nella garitta all’ingresso della porta principale o presidiare la porta carraia della Caserma Romano.

Durante il servizio in garitta era obbligatorio il saluto a tutti i visitatori; il resto dei componenti la guardia doveva essere pronto a schierarsi nel caso di visite di autorità o di alti gradi dell’Esercito.

Alla porta carraia la guardia era addetta all’apertura e chiusura del cancello per consentire, oltre all’ingresso e all’uscita dei mezzi, il passaggio degli allievi che, inquadrati, si recavano alle lezioni nelle aule della adiacente caserma Montefinale.

La sera, dal momento della chiusura delle porte di accesso e fino al  primo mattino del giorno successivo, il turno di guardia consisteva nel  percorrere un camminamento lungo tutto il perimetro della caserma.

Sul percorso c’erano delle  garitte in legno con all’interno un telefono a manovella che serviva per chiamare il capoposto in caso di problemi.

Le garitte, soprattutto di notte, venivano usate anche per ripararci per qualche minuto dal freddo e dall’umidità, condizione che ha sempre caratterizzato il clima di Bracciano nei periodi invernali.

Il percorso, non particolarmente lungo,  si snodava all’interno della recinzione dietro le palazzine degli alloggi e alle rimesse dei semoventi; la luce dei lampioni  lungo il perimetro  creava delle ombre che, nel silenzio e nella solitudine, mi davano un certo senso di disagio ed apprensione, tant’è vero che spesso, per evitarle, facevo delle piccole deviazioni.

Nel lato opposto a quello dove erano parcheggiati i semoventi, la recinzione fiancheggiava uno sterrato particolarmente acquitrinoso da quale, al mio passaggio, proveniva l’improvviso gracidio delle rane che mi gelava il sangue.

Per verificare l’apprendimento ed il rispetto delle mansioni del servizio di guardia, venivano effettuati dei controlli a sorpresa; il capoposto accompagnava l’Ufficiale il quale, il più delle volte, chiedeva direttamente all’allievo di guardia di controllare l’arma in dotazione.

Secondo le disposizioni ricevute l’arma doveva essere consegnata soltanto al capoposto il quale, a sua volta, doveva passarla all’Ispettore; se l’allievo avesse consegnato il fucile direttamente all’Ufficiale, sarebbe stato passibile di gravi sanzioni, compresa l’eventuale espulsione dal corso.  

 

La libera Uscita

Gli impegni quotidiani non mi lasciavano molto tempo libero, però trovavo sempre una mezz’oretta per andare allo spaccio a giocare a biliardino e sentire al Jukebox le canzoni in voga in quegli anni.

Mi ricordo che una canzone molto gettonata era “Scende la Pioggia” di Gianni Morandi.

Quando ero esentato dai servizi andavo in libera uscita, con tappe ben programmate: una telefonata a casa, al cinema e, in base alle disponibilità economiche, in trattoria, per una bella carbonara o una gustosa amatriciana.

 

Gli Amici

Durante i cinque mesi alla Scuola ho sempre avuto ottimi rapporti con tutti i colleghi e, come comprensibilmente sarà avvenuto per molti di noi, con alcuni di loro ho instaurato un particolare legame di confidenza ed amicizia. Ancora oggi mi ricordo i loro nomi.

Mi vengono in mente con grande affetto, oltre a Franco Taddei di Varese (che dormiva nella branda sotto la mia), Mario Masiero di Caorle, Teodoro Dominici di Roma, Giovanni Mirandola di Bolzano, Nando Bologna di Roma, Ludovico Degli Uberti di Roma, Paolo Delogu di Roma e Nerio Guizzardi di Bologna.

Purtroppo, forse per il fatto che per noi sardi ai giorni  di licenza si dovevano sommare  tre giorni di viaggio che allungavano notevolmente l’assenza dal corso, durante tutto il periodo da allievo non ho mai avuto il piacere di tornare in Sardegna.

Raramente il fine settimana ho avuto un permesso di 36 ore per recarmi a Roma.

 

Fine corso

Alla fine del corso mi è stato richiesto di indicare le sedi che avrei desiderato per i 4 mesi di pratica da Sgt AUC e per i sei mesi di prima nomina da Sottotenente (i primi 20 o 30 del corso avevano diritto di scelta).

In quegli anni vigeva la regola, non so se scritta o meno, che il militare dovesse svolgere il suo servizio lontano da casa per cui, essendosi le mie raccomandazioni esaurite alle selezioni, le possibili destinazioni in Sardegna erano precluse.

Per poter avere come seconda destinazione la sede logisticamente a lei più vicina, ho indicato, per il primo periodo da Sgt AUC, Casarsa della Delizia nel Friuli, dove era dislocato iI 132° Rgt Artiglieria Corazzata Ariete, e per il secondo periodo la Scuola di Artiglieria di Bracciano.

Dopo gli esami, pur non essendomi classificato fra i primi 30, le destinazioni sono state esattamente quelle indicate nelle mie preferenze e mi è stata concessa una licenza di 5 gg.

 

La pratica Operativa

Il 14 giugno 1969  sono partito in nave da Porto Torres per raggiungere Genova.

L’indomani, domenica 15 giugno, ho proseguito il mio viaggio in treno:  da Genova sono arrivato a Milano, da Milano a Mestre e da Mestre a Casarsa della Delizia (PN), sede del 132° Reggimento Artiglieria Corazzata Ariete “Fulmineo e Possente”, dove ho concluso il viaggio intorno alle ore 18.00 – 18.30.

Ho raggiunto la Caserma Trieste e sono entrato dalla porta carraia; all’ingresso il Sergente di servizio mi ha indicato dove era ubicata la fureria della mia batteria e come raggiungere il mio alloggio.

L’indomani prima dell’adunata mi sono recato in fureria dove ho incontrato il Comandante, un Tenente pugliese di cui non ricordo in nome, che mi ha comunicato ufficialmente di far parte dell’organico della 2a Batteria del V° Gruppo Artiglieria Pesante con l’incarico di Capopezzo di un M55 203/25.

Oltre il ruolo “principale” ho svolto molti altri incarichi: Ronda, Comandante in Polveriera, sottufficiale alla porta carraia, preposto alla consegna delle armi leggere della armeria di Gruppo, Sgt d’ispezione, distribuzione posta riservata ai vari Presidi Militari (Maniago, Spilimbergo, Palmanova, Cordenons, etc.).

In quegli anni gli allarmi erano frequenti.

Il suono della sirena mi svegliava spesso alle due-tre del mattino e senza pensarci due volte mi vestivo di tutto punto e con lo zainetto tattico in spalla  mi recavo alle rimesse dei semoventi dove trovavo l’M55 col motore già acceso e l’equipaggio al completo.

Nel caos generale si usciva in colonna dalla porta carraia per dirigerci, chissà perché, sempre a nord-est e, normalmente, dopo aver percorso una decina di chilometri nell’entroterra tra Casarsa ed il Tagliamento, arrivava l’ordine di cessato allarme e di rientro.

Nel mese di agosto ho partecipato ad una esercitazione a fuoco su fiume Tagliamento che coinvolgeva tutti i 5 Gruppi di Artiglieria del 132° Rgt Art. Cor. Ariete e alla quale hanno assistito, dall’osservatorio posto in prossimità degli obiettivi, alte cariche militari e politiche.

E’ stata una bellissima esperienza dove finalmente, in qualità di capopezzo, ho partecipato attivamente alla predisposizione del semovente e al calcolo per il tiro del mio M55 (calcoli verificati e condivisi con quelli dei pezzi della mia e delle altre batterie) mettendo in pratica la mia preparazione teorica ricevuta alla Scuola di Artiglieria.

 

In polveriera

Ai primi di settembre ho avuto l’incarico di Comandante della guardia in polveriera.

Durante il servizio mi sono capitati due episodi degni di nota:

– l’ispezione di un Generale di Brigata che, volendo accedere all’interno della polveriera senza fornire la parola d’ordine prevista per quel giorno, insisteva a dire di non ricordarla e pretendeva comunque di entrare perché «era pur sempre un Generale».

Pur essendo molto intimorito dal grado, ma conscio delle conseguenze se lo avessi fatto entrare senza le giuste credenziali, gli ho negato l’accesso e, vista la sua insistenza, dopo aver allertato le guardie all’ingresso, gli ho intimato di allontanarsi per evitare spiacevoli conseguenze.

In considerazione della mia determinazione il Generale ha desistito dall’insistere e mi ha fornito la parola d’ordine corretta. Successivamente, prima del commiato, si è complimentato per il mio comportamento.

– Il Sgt AUC Franco Taddei, mio compagno di corso, durante il servizio di ronda a Gaiarine, paese vicino alla polveriera, mi ha fatto consegnare un biglietto col quale mi segnalava che uno degli artiglieri componenti la guardia, durante la libera uscita, aveva tenuto ripetutamente un comportamento scorretto ed irriguardoso in pubblico.

Nel fornirmi il nome dell’artigliere mi comunicava di non aver provveduto a denunciarlo soltanto per non far passare dei guai al sottoscritto, ma di provvedere io stesso a dargli la giusta punizione.

L’artigliere in questione, già noto come elemento irascibile e prepotente, andava tutti i giorni in libera uscita (anche se non gli spettava) perché chi ne aveva diritto rinunciava e gli lasciava il suo posto (penso a fronte di qualche intimidazione).

Pertanto ho richiamato l’artigliere e, dopo avergli detto il motivo della punizione  e dopo avergli recitato la classica formula «Stai Punito», gli ho dato l’ordine di non uscire  più dal perimetro della polveriera fino alla conclusione del suo periodo di guardia.

Inoltre l’ho informato che al rientro alla base il Comandante di Gruppo gli avrebbe comminato la giusta punizione per il suo comportamento.

Naturalmente il militare non era assolutamente d’accordo e pretendeva di uscire comunque.

L’indomani il punito si è presentato alla porta carraia per andare in libera uscita assieme agli altri aventi diritto.

 Dopo avergli ripetuto senza esito l’ordine di rientrare nei suoi alloggi, ho ordinato alle guardie alla porta carraia che, se avesse tentato di uscire, avrebbero dovuto impedirglielo a tutti i costi, anche, se necessario, con l’uso delle armi.

A questo punto e malvolentieri il soldato è rientrato nei suoi alloggi.

Al rientro in caserma ho fatto regolare rapporto dell’accaduto al Comandante di Gruppo che, in base ai fatti, avrebbe voluto denunciarlo alla Procura Militare.

Su mia richiesta Il Maggiore ha modificato la sua prima intenzione e gli ha comminato una punizione eccezionale: 30 gg di CPR.

 

Il tempo libero

Normalmente andavo in libera uscita in paese. Le tappe erano le solite: cinema, bar della stazione (dove al bancone servivano due belle cameriere), trattoria.

Per i sergenti il rientro in caserma era posticipato di due ore rispetto a quello previsto per la truppa.

Nei fine settimana, se libero da impegni di servizio,  col treno, o qualche volta in auto se accompagnato da un collega sottufficiale motorizzato, mi recavo nelle località che ritenevo fossero più interessanti sia culturalmente che ludicamente.

Le mete preferite erano Venezia, Lignano Sabbiadoro, Padova, Treviso, San Daniele, Pordenone, Montegrotto, etc. e qualche volta, soprattutto quando la meta era Venezia, non rientravo la notte del sabato, ma direttamente la domenica sera.

Forse per la distanza dalla Sardegna o per la breve durata della mia permanenza a Casarsa della Delizia, durante il periodo di pratica operativa non ho mai usufruito di licenze di alcun tipo.

 

 

Vita in caserma

 

Gli episodi da raccontare sarebbero molti, ma col tempo e con l’avanzare dell’età il loro ricordo si è alquanto sbiadito.

Una notte sono stato svegliato dal piantone della camerata della mia batteria.

Due artiglieri se le stavano dando di santa ragione per futili motivi ed uno di loro, non ho capito se per difendersi o per attaccare, aveva in mano un coltello a serramanico.

Per fortuna, e senza bisogno di far intervenire l’ufficiale di Picchetto, sono riuscito a separarli e, dopo aver disarmato lo “spadaccino”, sono riuscito a riappacificarli riportando la calma nel reparto.

Del fatto non ho mai fatto rapporto e, forse, per non aver fatto la “spia”, la loro stima  nei miei confronti è cresciuta notevolmente.

Nella mia batteria faceva il servizio di leva l’artigliere Cusumano, siciliano doc, che era il leader incontestato del suo gruppo.

In quei tempi si stavano completando le palazzine per gli alloggi sottufficiali.

L’unico problema prima di assegnarle era che dovevano essere ripulite da tutti i calcinacci creati dagli operai edili e dagli imbianchini.

Diverse volte era stato dato l’incarico a qualche sottufficiale di renderle accessibili e per poter consegnare gli alloggi agli assegnatari.

Gli esiti erano sempre stati alquanto disastrosi; tutte le squadre di artiglieri incaricate delle pulizie si imboscavano regolarmente e, se il sottufficiale li sollecitava a svolgere l’incarico assegnato, era lui stesso ad essere oggetto di rappresaglie.

Il mio “carissimo” Comandante di Batteria mi fece assegnare, a mia insaputa, l’ingrato incarico.

Memore dei risultati precedenti e conscio del pericolo a cui andavo incontro, ho incaricato l’artigliere Cusumano di reclutare una squadra per le pulizie degli alloggi sottufficiali e di coordinarla lui stesso per portare a termine il compito.

Per farla breve, dopo circa dieci giorni le palazzine era perfettamente pulite e, con grande rammarico del Comandante di Batteria, ho ricevuto gli elogi del Comandante di Gruppo.

Il 27 settembre 1969 ho concluso il periodo di servizio da Sgt AUC e sono rientrato in Sardegna in licenza ordinaria di 12 giorni.

 

La prima Nomina

Durante la licenza ordinaria il Distretto Militare di Sassari mi ha comunicato la promozione a Sottotenente e la destinazione per la prima nomina.

Il 15 ottobre 1969 ho preso regolarmente servizio alla Caserma Montefinale di Bracciano.

Non appena arrivato mi sono presentato al mio comandante di Batteria, il Capitano Bartolini, ed al Comandante di Gruppo, il Maggiore Villani.

Sono entrato in organico in qualità di Comandante di Sezione nella Batteria Pesante Semovente del Gruppo Misto.

Il Gruppo Misto era composto da una o due batterie di Artiglieria da Campagna M7, una batteria di Artiglieria Pesante Campale M44 ed una Batteria di Artiglieria Pesante M55 e M107.

Le mansioni del mio incarico erano molto semplici e trattandosi di un reparto addestrativo, non operativo come il 132° Rgt Art. Corazzata Ariete di Casarsa, le giornate scorrevano senza particolari problemi:

– Adunata del mattino, assegnazione degli incarichi alla truppa e trasferimento degli uomini della mia  sezione alla pista carri

– Istruzione e addestramento dei serventi ai pezzi

– Pranzo al circolo Ufficiali

– Rientro ai capannoni della Romano dove ai semoventi facevo fare un pò di manutenzione, accendere i motori per 15-20 minuti ed alcuni giri di pista.

Qualche volta, anche se non autorizzato, ero io stesso a guidare l’M107 o l’M55.

 Alla fine della giornata lavorativa, rientravo a Bracciano dove alloggiavo all’Albergo Ufficiali.

Le serate, salvo eccezioni, le passavo al Circolo Ufficiali giocando a ramino, al biliardo e, raramente, a bridge.

 

I Servizi

La routine quotidiana era spezzata dal servizio di Ufficiale di Picchetto, Ufficiale d’Ispezione e Ufficiale addetto allo Sgombero Poligono.

Durante i sei mesi della prima nomina ho svolto sette volte l’incarico di Uff. di Picchetto, tre volte quello di Ufficiale d’Ispezione e due volte lo Sgombero Poligono.

Dopo l’orario di servizio, che normalmente andava dalle 8.00 alle 17.00, la responsabilità della Caserma ricadeva sull’Ufficiale di Picchetto.

Era un compito molto delicato, ma che, almeno per quel che mi riguarda, non mi ha mai dato problemi di alcun tipo.

Il servizio d’Ispezione consisteva nel recarsi “a sorpresa” nei presidi militari esterni alla Caserma Montefinale ed effettuare dei controlli a campione nei loro posti di guardia.

Il Reparto Comando del Reggimento ogni mattina consegnava in fureria la busta sigillata contenente:

  • le parole d’ordine da fornire nei vari presidi
  • la cronologia degli orari e dei luoghi da ispezionare

Lo sgombero poligono si rendeva necessario in occasione delle esercitazioni a fuoco con i semoventi.

L’attività consisteva nel recarsi con una squadra di artiglieri nei poderi confinanti al poligono, comunicare ai proprietari di non accedere ai terreni adiacenti negli orari in cui si sarebbe svolta l’esercitazione a fuoco e mettere sul confine esterno, in ogni punto prestabilito, un presidio di soldati per impedire l’accesso ai civili all’area dove erano previsti gli obiettivi dei semoventi.

Il periodo di interdizione ai terreni confinanti era compensato in base alla durata delle esercitazioni a fuoco; il compenso consisteva in un buono da rilasciare ai proprietari, attestante il numero delle ore effettive di inattività forzata.

Normalmente, per prudenza, sul buono la quantità delle ore che indicavo era superiore a quelle realmente occorrenti alle esercitazioni per cui il valore dei buoni era quasi sempre superiore alle loro aspettative.

I proprietari dei terreni per riconoscenza mi regalavano di tutto: galline, uova, formaggio, vino, salumi, etc. che regolarmente, a mia volta, regalavo agli artiglieri per fare qualche spuntino fra di loro.

Una volta un agricoltore, mentre firmavo il solito buono di sgombero, mi ha invitato ad una festa locale e mi ha offerto la figlia in qualità accompagnatrice (?). Naturalmente ho rifiutato.

 

Le punizioni

Ricordo molto bene quando ho ricevuto la mia prima, e secondo me, immeritata  punizione.

Su disposizione del Comandate della S.C.A. Gen. Maglietta, io ed altri due Sottotenti appartenenti al Gruppo Misto, abbiamo ricevuto l’ordine di partecipare alla festa di S. Barbara, patrona dell’Artiglieria.

Non potendo rifiutare ho invitato una ragazza (studentessa universitaria a Roma) che da tempo mi chiedeva di partecipare ad un evento al Circolo Ufficiali.

La ragazza si è presentata alla festa vestita in maniera elegante, ma non proprio ortodossa: gonna lunga, top e pancino scoperto.

Alcune mogli degli ufficiali superiori non hanno gradito l’abbigliamento ed hanno manovrato segretamente per l’allontanamento della ragazza.

Il Comandante mi ha convocato in un salottino riservato e mi ha chiesto (non ordinato perché al Circolo Ufficiali non poteva farlo) di allontanare la ragazza per comportamento non consono all’ambiente.

Naturalmente, non vedendo alcun motivo plausibile per accogliere tale richiesta, se non l’invidia delle signore per la bellezza e l’eleganza con cui la ragazza si esibiva nella pista da ballo, ho rifiutato.

La festa ha proseguito fino alle 2 e tra una cosa e l’altra sono andato a dormire oltre le tre del mattino.

Era prassi, non scritta, che gli Ufficiali che partecipavano a feste di tipo istituzionale l’indomani avessero un po’ di elasticità nel presentarsi in caserma.

Pertanto, forte di questa certezza, l’indomani non mi  sono presentato all’adunata e sono arrivato  in caserma leggermente in ritardo (9.00 invece che alle 7.30).

Richiamato immediatamente dal Comandante di Gruppo, sicuramente su “consiglio” del Gen. Comandante che mal aveva preso il mio rifiuto di allontanare la ragazza, mi son visto comminare 5 gg di arresti semplici “per non essere stato presente all’adunata senza giustificato motivo”.

Dal momento che ero agli arresti, e che non potevo allontanarmi da Bracciano, ho proposto ai Colleghi Ufficiali subalterni che dovevano svolgere i servizi di P.O. e di Ispezione di sostituirli nei giorni in cui scontavo la mia punizione.

Naturalmente i Colleghi furono molto felici di accontentarmi.

Purtroppo mi ero dimenticato che proprio in quei giorni era stata organizzata una cena a Santa Marinella per il saluto agli Sten del 53° congedanti.

Pur essendo in servizio, dopo aver detto al sottufficiale di Ispezione dove mi poteva trovare telefonicamente in caso di problemi, mi sono recato a Santa Marinella con l’AR in dotazione.

Al rientro ho trovato ad aspettarmi, all’ingresso della porta carraia, il Capitano di Ispezione che, dopo avermi urlato con voce alterata le punizioni più severe previste in questi casi (compresa la denuncia alla Procura Militare), non ha potuto fare a meno di comminarmi altri cinque giorni di arresti semplici.

 

I ricordi

Durante la prima nomina ho ricevuto, da una importante società chimica, un telegramma di convocazione in Sardegna per sostenere un colloquio di lavoro propedeutico all’assunzione a tempo indeterminato.

In questi casi era quasi obbligatorio concedere un permesso.

Il mio Comandante di Gruppo, memore delle precedenti punizioni, mi negò tale permesso.

A Roma avevo iniziato a frequentare un circolo di sardi in via Nazionale.

Il Circolo era frequentato da persone della più variegata estrazione sociale e non mancavano i militari di carriera.

Fra questi avevo conosciuto un Maresciallo Maggiore, autista/attendente di un Generale di Divisione (del quale non faccio il nome), che aveva accesso, a prezzi scontati, a tutto quello che poteva essere necessario per un militare: camicie, anfibi, mostrine, stellette, etc.

In tale ottica il maresciallo in più di un’occasione mi aveva invitato a contattarlo telefonicamente al numero della segreteria del Generale di Divisione in caso di necessità.

Pensando che il maresciallo potesse aiutarmi anche in questo frangente, ed ancora abbastanza furioso per il rifiuto del Comandante, mi sono recato in fureria, ho alzato la cornetta del telefono, mi sono presentato e, con voce stentorea, ho chiesto al centralinista di passarmi la segreteria del Generale di Divisione.

Il centralinista mi ha informato con garbo che, dato il mio grado, e senza autorizzazione, non potevo utilizzare quella linea telefonica per motivi personali.

Ho ringraziato e sempre abbastanza alterato mi sono recato al bar interno della Montefinale.

Il furiere, che aveva sentito la mia telefonata, ma non la risposta del centralinista, ha riferito tutto al Capitano Bartolini il quale a sua volta ne ha parlato al Comandante di Gruppo.

Mentre ero al bar mi ha raggiunto il Ten. Col. Villani (era stato promosso tra la fine 1969 e l’inizio 1970) dicendomi che per il colloquio di lavoro potevo prendere  tre  giorni di licenza per recarmi in Sardegna.

Ho rifiutato adducendo come motivazione il fatto che tre giorni  sarebbe stati a malapena sufficienti per il viaggio.

A questo punto al Comandante hanno cominciato ad ingrossarsi le giugulari ed è diventato rosso paonazzo, ma, una volta riacquistata la calma, mi ha proposto tre giorni di licenza e, in caso di necessità, ulteriori tre giorni da prendere a mia discrezione.

Ho accettato e sono corso in fureria a far preparare, tra la meraviglia del Capitano e del furiere, il foglio di licenza.

Appena pronto il documento mi sono recato velocemente nell’ufficio del Comandate per fargli apporre la firma.

Il Comandante ha preso il foglio di licenza, lo ha guardato per circa un minuto e lo ha strappato.

Per un attimo mi si sono sentito mancare ma subito dopo il Ten. Colonnello mi ha ordinato di farmi preparare una licenza di 6 giorni !

Nel 1969-1970 gli Ufficiali subalterni dovevano indossare l’uniforme tutti i giorni compresi i festivi.

Quando ero libero da servizi la mia meta preferita era Roma.

Nella città eterna, oltre a visitare i numerosi monumenti storici,  fare lunghe passeggiate per le vie del centro storico e, raramente, giocare a bridge con il collega Ludovico degli Uberti, frequentavo saltuariamente locali di avanspettacolo e nightclub in compagnia di un amico Ispettore di Polizia che avevo conosciuto al Circolo dei Sardi.

I locali preferiti erano l’Ambra Jovinelli, famoso per l’avanspettacolo, e il Piper dove si esibiva Patty Pravo.

Il fatto curioso è che, quando mi presentavo all’ingresso del Piper in Diagonale e basco nero, sarà perché scambiato per un Ufficiale dei Carabinieri (in quegli anni il basco nero era il copricapo dei Carabinieri Meccanizzati), o forse perché in compagnia di un poliziotto, mi facevano sempre entrare gratuitamente.

 

La malattia

Nel mese di marzo ho avuto un piccolo problema polmonare a causa di una bronchite curata male.

Sono stato ricoverato al Celio e, per circa 15 giorni, sottoposto ad una terapia a base di iniezioni dolorosissime di penicillina e streptomicina.

Ancora non esistevano le siringhe usa e getta indolori, ma venivano utilizzate quelle di vetro con gli aghi usati più volte e qualche volta spuntati.

L’infermiere mi somministrava i farmaci due volte al giorno: la mattina alle 6 ed il pomeriggio alle 18.

Molto sbrigativamente mi iniettava il medicinale lasciandomi semi paralizzato dal dolore per circa 5-6 minuti.

Finita la cura sono stato mandato a casa in convalescenza.

Essendo quasi alla fine periodo della ferma, al rientro a Bracciano ho dovuto recuperare parte della convalescenza per completare i giorni di servizio effettivo.

Mi sono congedato il 23 maggio 1970.

 

Gli aggiornamenti

Nel 1981 sono stato richiamato in servizio alla Scuola di Artiglieria di Bracciano per un corso teorico/pratico di 40 gg propedeutico all’avanzamento al grado di Capitano.

Sono stato aggregato al 1° Gruppo Cacciatori delle Alpi e, dopo i primi dieci giorni di aggiornamento in aula sull’ordinamento Militare e sulle nuove armi in dotazione all’Artiglieria Semovente, ho ricevuto l’incarico di comandare per un mese una Batteria di M109.

Nell’attività di comando mi limitavo a svolgere le mansioni di routine ed ero sempre affiancato dal Capitano Comandante di Batteria.

Durante la parte pratica del corso ho partecipato, anche se in qualità di semplice osservatore, ad una esercitazione a fuoco con gli M109 a Monte Romano.

 

Il saluto alla Bandiera

Appena arrivato a Bracciano per il corso di aggiornamento sono stato informato che avrei dovuto fare il saluto alla Bandiera bardato di tutto punto compresa la fascia azzurra e la sciabola.

Il Comandate di Gruppo mi ha istruito sulle modalità da seguire per il saluto:

  • bussare alla porta del Comandante (Generale Palmieri)
  • attendere il consenso ad entrare
  • una volta entrato ignorare il Generale e dirigersi verso la bandiera della Scuola
  • fare il saluto alla Bandiera
  • salutare il Generale

Seguendo alla lettera le istruzioni ho bussato, ho atteso che la scritta “AVANTI” si accendesse e sono entrato dirigendomi verso la bandiera.

Il Generale si è alzato, mi ha intercettato a metà strada tra la porta e la bandiera e, con un grande sorriso, mi ha stretto la mano invitandomi a sedere nel salottino per fare “quattro chiacchiere”.

Dopo aver parlato per circa mezzora dei piatti tipici, delle spiagge e delle località della Sardegna, il Generale mi ha congedato molto cordialmente.

Dal quel giorno, ogni volta che il Generale mi vedeva al Circolo Ufficiali, tra lo stupore degli altri Ufficiali subalterni, mi invitava molto amichevolmente a fargli compagnia per continuare a parlare della mia Isola.

 

Gli avanzamenti

Dopo circa 4 anni dal rientro alla vita civile sono stato chiamato al Distretto Militare di Sassari Matricola Ufficiali; dopo una sommaria visita medica mi è stato comunicato l’avanzamento al grado di Tenente con decorrenza 1 gennaio 1974.

Nel maggio 1981 sono stato richiamato alla Scuola di Artiglieria per un corso di aggiornamento teorico/pratico. 

Nel 1986 ho ricevuto la comunicazione dell’avanzamento al grado di Capitano con decorrenza 1/1/1983.

Nel marzo 1990 i Carabinieri mi hanno consegnato un preavviso di destinazione al 1° Reggimento Fanteria Corazzata in Capo Teulada in caso di chiamata generale alle armi.

Nel settembre 1992 ho ricevuto l’annullamento del preavviso di destinazione.

Nel 1995, dopo 12 anni nel grado di Capitano, ho ricevuto l’avanzamento onorifico al grado di Primo Capitano.

 

Epilogo

A qualcuno degli eventuali lettori di questo sconclusionato racconto certi episodi sembreranno non consoni allo status di Ufficiale.

Spero che il loro giudizio non sia troppo severo, ma tenga conto della giovane età in qui ho svolto il mio servizio di prima nomina.

Alcune azioni sono state fatte con leggerezza ed incoscienza, ma, nelle cose importanti, ho sempre cercato di servire il mio Paese con dedizione, fedeltà e la massima correttezza.

Sentimenti che hanno continuato ad accompagnarmi anche nella vita “civile”.

 

1° Capitano Salvatore Franco Piras